08 Ago I Franciacorta di Stefano Cola, una scoperta per turisti dai palati fini
Ne esistono, fortunatamente, di persone come Stefano Cola (29 sinora le sue vendemmie…), capaci di credere nella potenzialità della Franciacorta. Certo ci vuole, specie ora, una buona dose di pazienza, ma alcuni segni s’iniziano a cogliere e l’idea che l’intera zona possa diventare meta di un turismo attento, non solo verso il vino, rappresenta a suo avviso una delle grandi possibilità di futuro sviluppo.
Intanto si raccolgono i frutti di una storia pressoché trentennale ma le cui origini risalgono al primo dopoguerra, quando nonno Giovanni inizia a coltivare la terra e allevare la vite. È papà Battista a seguire quella traccia, ancora oggi si occupa della vigna, figura che ama gli spazi aperti, la terra, lo affianca successivamente Stefano e, a indirizzarne nel migliore dei modi il lavoro in cantina, un enologo come Alberto Musatti. Ora i Franciacorta dei Cola, la produzione prevalente con circa 40-45.000 bottiglie a cui si aggiungono due Curtefranca, prendono vita da vigne di 15/20 anni e vendemmia dopo vendemmia hanno acquisito una personalità e dei tratti comuni ben identificabili.
«Finezza e pulizia al naso, una buona struttura e un grande equilibrio, specie tra sapidità e freschezza». Lo Chardonnay è il vitigno più coltivato, lo affianca il Pinot Nero utilizzato al 50% per il Rosé e, dal 2009, attorno al 10% nei Millesimati. Ogni Franciacorta – Brut, Extra Brut, Rosé, Satèn, Millesimato Brut e Non Dosato – rappresenta la visione aziendale, specie quella di Stefano, della tipologia. Così il Non Dosato è lontano da eccessive spigolosità, pur avendo un trascurabile residuo zuccherino, e l’Extra Brut, naso agrumato, pompelmo in primis , su cui s’innestano sentori di nocciola e crosta di pane, ha quella salinità e quella bolla sottile e croccante che costituiscono una sorta di comune sigillo dell’intera produzione. Il Rosé ha toni volutamente scarichi, la bottiglia scurissima, oltre a proteggere il vino, vuole preservare il consumatore dall’influenza del colore.
In cantina si pratica un’attenta selezione delle pressature e se in qualche annata i due prodotti numericamente più rappresentati – Brut ed Extra Brut – mostrano qualche cedimento si preferisce «arricchirli» con il mosto fiore destinato alle riserve, perdendone così qualche bottiglia ma mantenendo un elevato standard per i primi «biglietti da visita» aziendali. «Serve maggiore cultura perché il Franciacorta venga riconosciuto e distinto» conclude Stefano, «ma il mio sogno è vedere i Franciacorta, tutti, presenti nel mondo intero».
Carlos Mac Adden
[fonte <a href="http://brescia see here now.corriere.it/notizie/cronaca/14_agosto_08/i-franciacorta-stefano-cola-scoperta-turisti-palati-fini-d80ec508-1edd-11e4-935f-58b9b86038b5.shtml” target=”_blank”>Corriere della Sera – Brescia]
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